L’Italia si avvia verso una ripresa economica generalizzata. Gli indicatori sono positivi: il Pil aumenta, così come aumenta l’occupazione. Ma mentre aree del Paese crescono sono in tanti, troppi a rimanere indietro. È una crescita disomogenea, non condivisa. Le diseguaglianze persistono e diventano sempre più profonde tra i territori e le persone. Fasce sempre più ampie della popolazione non riescono a sostenere il costo della vita che diventa sempre più alto, soprattutto a causa dell’aumento dell’inflazione e dei tassi di interesse.
Bisogna quindi invertire la rotta. Bisogna rivedere i modelli di sviluppo mettendo le persone e il loro benessere al centro. Un utile in meno, ma un occupato in più. Dobbiamo impiegare tutte le risorse possibili per contrastare la povertà, un fenomeno che investe troppi ambiti della società: dobbiamo intervenire con urgenza per contrastare la povertà abitativa, la povertà educativa, la povertà economica.
Ad oggi le famiglie in povertà assoluta sono 1,9 milioni, erano 800.000 nel 2005: parliamo di 5,6 milioni di persone. La povertà relativa riguarda invece 2,9 milioni di famiglie e 8,8 milioni di persone. Circa 3 milioni di famiglie vivono nel sovraffollamento. Drammatica la situazione del 12% di italiani che nel 2022 hanno scelto di non curarsi per mancanza di disponibilità economica pur avendone bisogno per risorse economiche scarse. (fonte Censis su dati ISTAT/Eurostat/Ministero Salute). Dati ulteriori che ci impongono di cambiare modello.
E se in questi giorni i dati sull’occupazione sembrano dare segnali positivi è necessario affrontare il problema della qualità del lavoro: abbiamo 3,8 milioni di lavoratori poveri che ricevono una retribuzione annuale uguale o inferiore ai 6.000 euro. Sono lavoratori che alle difficoltà del presente aggiungeranno quelle del futuro, perché avranno pensioni bassissime. Bisogna quindi ridurre il cuneo fiscale e contributivo, potenziare gli strumenti di politiche attive, rendere più efficaci i contratti collettivi sottoscritti dalle sigle maggiormente rappresentative, semplificando la giungla dei migliaia di contratti attualmente depositati al Cnel.
E soprattutto dobbiamo dare spazio ai giovani. Nella fascia tra i 18 e i 35 anni abbiamo 3,2 milioni di Neet. Ben 500.000 giovani nella fascia 18-24 anni abbandonano i percorsi di formazione senza aver conseguito un titolo di studio. A questi ragazzi prima che un lavoro dobbiamo dare una speranza, un orizzonte. Occorre garantire loro gli strumenti formativi attraverso cui sappiano valorizzare le loro propensioni. Per coloro invece che hanno già investito nella loro formazione occorre un mondo del lavoro che sappia valorizzare le competenze acquisite con prospettive di crescita personali e livelli retributivi adeguati. Per centrare questi obiettivi dobbiamo fare in modo che nelle imprese italiane cresca la produttività media, ancora troppo lontana da quella dei principali Paesi europei.