"8 ore di lavoro, 8 di svago, 8 per dormire" era lo slogan coniato a metà dell’800 per le rivendicazioni dei lavoratori. Fu il “tormentone”, come si direbbe oggi in gergo musicale, che ha aperto la strada alle richieste poi sempre più e meglio organizzate per richiedere condizioni di lavoro dignitoso.
Il lavoro che c’era quasi per tutti, ma che trascurava i diritti più elementari. Una storia sempre tormentata quella del lavoro. Oggi, alla vigilia della festa del lavoro la domanda da porci è che 1 maggio sarà? Della resilienza? Della ripartenza? Della ricostruzione? Direi un po’ tutte e tre le cose.
Per chi il lavoro lo ha perso. Per chi non lo trova. Per chi neanche lo cerca. Per chi perde la vita al lavoro. I dati resi noti dall’Inail solo l’altro ieri, rappresentano un bilancio di guerra inaccettabile: con 189 morti, +2,2% rispetto allo stesso periodo del 2021, a cui si aggiunge una brusca impennata degli infortuni: 160.813 +50,9% rispetto all’anno precedente.
Lo scorso anno il paese ha registrato una crescita superiore al 6%, ma non c’è PIL senza una crescita parallela del benessere. Se la crescita allarga la forbice della diseguaglianza invece di accorciare le distanze allora non è una forza generatrice di energie positive.
Il 2022 non si preannuncia migliore. Nuove fratture e diseguaglianze saranno ampliate dalla crescita già compromessa dall’escalation dei costi dell’energia e delle materie prime, aggravata poi dalla guerra nel cuore dell’Europa che sta riscrivendo gli ordini di forza geo politico economici mondiali. Un mix di fattori che bruceranno 3% di Pil (fonte Censis Confcooperative)
Gli squilibri presentano numeri che vanno al di là della preoccupazione: 3,3 milioni di Neet tra i 15 e i 32 anni; 3,5 milioni di lavoratori in nero; oltre 2 milioni di working poor. Un esercito di persone che in queste condizioni non riescono ad avere un orizzonte di futuro. Dove non solo viene calpestata la dignità del lavoro, ma si assiste anche a un’evasione fiscale e previdenziale il cui risultato sarà quello di avere 6 milioni di pensionati poverissimi entro il 2040.
Il nodo lavoro va visto poi anche dalla parte delle imprese che sono pronte ad assumere, ma che non trovano personale qualificato. Un mismatch, un disallineamento tra domanda e offerta di lavoro che ci costa oltre 21 miliardi, l’1,2% del Pil, è questo il conto, salato, che il Sistema Italia paga a causa del mancato incontro tra l’offerta e la domanda di lavoro. Quello che il nostro Paese sta vivendo è un paradosso che non possiamo continuare ad alimentare. Mancano all’appello oltre 233mila profili professionali adeguati alla richiesta. Come abbiamo dimostrato con il nostro focus Censis Confcooperative il mismatch è un grande gap da sanare, con il lavoro che c’è ma i profili professionali adeguati che mancano.
Occorre uno scatto in avanti, passando da politiche passive a politiche attive per l’occupazione. Un “Patto sociale” tra governo, imprese e sindacati. Non vedere le cose da questa prospettiva significa non solo rischiare di perdere le opportunità di crescita per i prossimi anni, ma anche di alimentare quella disaffezione al lavoro che si aggira minacciosamente e che può condizionare negativamente gli esiti di tanti impegni orientati alla ripresa con 2,3 milioni di disoccupati, 1 su 3 giovani e oltre 3 milioni di Neet di cui la metà donne. Ecco perchè deve essere un 1 maggio di resilienza, ma soprattutto di ricostruzione.
Maurizio Gardini